Ma chi era la Sade?
Dietro alla S.A.D.E. C'era la figura di Giuseppe Volpi, conte di Misurata.
Era un grosso imprenditore e politico dell'epoca.
Divenuto ricco esportando tabacco dal Montenegro investì i guadagni acquisiti nella nascente
industria elettrica e nel 1905, rientrato in patria, costituì la SADE
(Società Adriatica di Elettricità,) oggi Enel, acquisendo in tal modo una posizione di rilievo
nel settore della produzione e della fornitura di energia elettrica.
Fu tra i protagonisti della realizzazione del nuovo Porto Marghera acquistò prestigiose
catene alberghiere. Fu governatore della Tripolitania, ministro delle finanze, presidente
della confindustria nonche' senatore sotto al fascismo. Ma viene oggi ricordato piu' che
altro perche' promotore della mostra internazionale del cinema di Venezia.
Portano il suo nome (coppa Volpi) i premi per miglior attore e miglior attrice.


Oggi, grazie alla volonta' dei superstiti Erto e' rinato ma Casso e' un paese fantasma,
perche' alla gente e' venuto a mancare la principale fonte di sostentamento avvero
le terre del Toc sulle quali avevano i greggi e le coltivazioni. Nel disastro i Cassani
non persero le case, ma il territorio.
Due righe vanno spese alla Tina Merlin,unica giornalista che sfida la Sade, proprietaria
tra le varie cose anche del “Gazzettino”, il giornale piu' letto all'epoca in Friuli. E su un
piccolo giornale come “ L' Unita'” la Merlin scrive apertamente come stanno le cose,
dicendo che la Sade e' “uno Stato nello Stato” e che la frana era stata prevista.
Si prendera' pure una denuncia ma verra' totalmente assolta.
Dopo la catastrofe ci fu la deportazione. Con l'11 ottobre del 1963 iniziarono gli
sfollamenti forzati perche' si temeva che il Toc potesse nuocere ancora.
Le stesse autorita' che avevano ignorato le grida di allarme dei montanari, ora
deportavano i sopravissuti. La corrente elettrica fu tagliata e la gente di Erto,
Casso e i pochi sopravvissuti furono costretti in poche ore ad abbandonare le
loro case, portando solo l'indispensabile. Alcuni furno ospitati a Cimolais, altri
accettarono di stabilirsi in un mini paese appositamente costruito per loro di 1 Km
quadrato chiamato Vajont in provincia di Pordenone. Il nuovo comune di Vajont,
tuttavia, fu dotato di un territorio piccolissimo. Le fabbriche ed i posti di lavoro
promessi agli sfollati furono così installati in territorio di altre amministrazioni,
sotto il controllo altrui. Per molti abitanti di Vajont non restò che un posto in
fonderia, malsano e malpagato.
Altri trovarono sistemazione in alberghi o da parenti. Lo stato diede loro dei sussidi
con la clausola che se trovavano un lavoro perdevano i diritti.
Fu stabilito un vero e proprio listino prezzi per il rimborso delle vittime.
Un padre lavoratore valeva fino a 1.500 lire. Un nonno o una sorella valeva 800.000 lire.
Al cambio di oggi sarebbero poco meno di 20.000 euro. Ma per un cavillo burocratico,
uno che aveva perso l'intera famiglia non percepiva nulla.
La gente voleva giustizia e il giusto riconoscimento per quello che aveva patito e non
elemosina. Cosi' inizio' il calvario del processo che duro' anni. L' Enel per evitare di
pagare somme enormi,sguinzaglio' una schiera di subdoli avvocati a trattare privatamente
con i sopravvisuti offrendo loro una transazione economicamente vantaggiosa (per l'Enel)
in cambio della rinuncia a qualsiasi rivalsa. Molti esasperati dalle trafile processuali
accettarono queste transazioni che offrivano pochi soldi,maledetti ma spendibili da subito.
Nel frattempo sul Vajont decine di imprenditori senza scrupoli si erano avventati come fanno
gli avvoltoi sulle carcasse degli animali. Vennero li e' comprarono decine,centinaia delle
licenze commerciali dei sinistrati, comprandosi cosi' il diritto ad essere risarciti dallo stato
ma trasferendo poi soldi e attivita' altrove. Infatti, con una normativa accuratamente tenuta
nascosta agli interessati, si potevano trasferire in altre località tali licenze. I fondi per la
ricostruzione, e le provvidenze economiche per chi nel disastro aveva perso anche il lavoro,
furono così in buona parte dirottati in una zona diversa da quella sinistrata.
In pratica il miracolo del nord est degli anni '70 venne in gran parte dai fondi che lo Stato
Italiano elargi' a favore del Vajont ma che poco o nulla arrivo' fisicamente nelle mani di chi
veramente ne aveva bisogno. Ci furono imprese e imprenditori che presero miliardi senza
mai aver messo piede nella valle del Piave e magari costruirono alberghi di lusso sulla Marmolada.
I soldi del Vajont servirono alla costruzione dell'autoporto di Gorizia, alla realizzazione di Lignano
Sabbiadoro traformandola nella localita' turistica che oggi conosciamo e dell'impianto sciistico
delle Tofane. Nei mesi dopo il disastro la stampa si affannò, anche se con magri risultati, ad
attribuire la catastrofe ad un "imprevedibile evento naturale". Non fu dello stesso parere la
magistratura. Tuttavia il lungo processo penale ai responsabili del disastro (svoltosi in primo
grado all'Aquila, perché si ritenne che i superstiti potessero "turbare" il giudizio nella naturale
sede di Belluno) si concluse con due sole condanne a sei anni, di cui uno solo fu realmente scontato.
Occorsero lunghissimi anni di battaglie giudiziarie perché i sopravvissuti, gli emigranti che avevano
perso tutto, ed i parenti delle vittime ottenessero un risarcimento equo. Ricordo che l'iter
processuale si concluse appena nel 1997 e che nel frattempo molti soppravvisuti erano morti
di vecchiaia in attesa di ricevere l'indennizzo per ricostruirsi la propria casa.
Longarone e' stata ricostruita abbastanza velocemente e sempre nello stesso luogo.
Recentemente una rappresentanza dei sopravvisuti al disastro ha ufficialmente chiesto allo Stato
Italiano che venisse data la medaglio d'oro al valore a tutti i comuni interessati dalla frana per
l'alto numero di vite immolate sull'altare del progresso tecnologico. E' stato inoltre chiesto che il
9 ottobre diventi il giorno della memoria, affinche' altre tragedie simili non accadano piu' e non
si dimentichi il Vajont.
Non ci sono mai state risposte concrete da parte dello Stato, che pero' senza chieder pareri, ha
provveduto a rimuovere i morti del Vajont dalle loro tombe di famiglia per metterli in una zona
dedicata a monumento nazionale,dove, e' vietato accendere lumini o porre qualsiasi manufatto o fiore.
Cosi' ora, non si puo' nemmeno piangere su una tomba.
Ecco in sintesi la cronaca della tragedia del Vajont a cura di Francesco Niccolini.
Va dal 1928 al 1997. E' realizzata con estrema cura.
E' stata la base di partenza dello spettacolo di Paolini.
http://www.vajont.info/vajontNiccolini1.htmlEcco una testimonianza di quella notte:Tratto da: "Il Gazzettino" del 09/10/1973
Quella notte di dieci anni fa.
Testimonianza diretta di don Carlo Onorin,parroco di Casso.
" Passammo accanto alla diga ed ebbi un tremito. Ci dovevo passare spesso e lo facevo,
anche se non lo facevo mai volentieri. Quella sera provai un brivido. Mi sono chiesto
tante volte se era un brivido di freddo. Credo di poter dire di no. Era certamente qualche
cosa di diverso. È difficile da spiegare, non è razionale... "
Don Carlo non ricorda, oggi, quello che fece fra il momento in cui entrò in casa e gli attimi
che precedettero il disastro. "C'era nell'aria tutta una serie di rumori. La frana, anche
quando non è di grandi proporzioni, ha un rumore particolare. Quella notte l'aria era piena
di rumori. Mi affacciai alla finestra... Ero alla finestra quando accadde e fu davvero terribile... ".
Il prete si copre il viso asciutto con le mani giunte e si massaggia lievemente la radice del naso:
"Avevo il Toc proprio davanti agli occhi. Ogni tanto un rumore. Poi il silenzio.
Poi ancora quel rumore. All'improvviso, se adesso ci penso mi pare che il tempo possa fermarsi
in quell'attimo, mancò la luce. Con un bagliore la catena di riflettori che illuminavano le pendici
del monte si spense. Non so... Non riesco a ricordare se il gran frastuono era già nell'aria
quando le luci si spensero o se è cominciato subito dopo. Era un frastuono terribile,
indescrivibile. Credo che non ci sia niente che gli assomiglia. Ecco, forse, se un treno
ti passa direttamente sulla testa... ".
Nella memoria di don Carlo Onorin il ricordo si scompone e si ricompone nei suoi elementi,
come se la memoria fosse un caleidoscopio e il ricordo una immagine di terrificante
astrazione: quello che vedeva, quello che sentiva, quello che percepiva con gli altri sensi.
E il terrore. La paura che l'Apocalisse fosse davvero giunta sul cielo di Casso, sul cielo
del mondo. "Non so quanto durò il frastuono. Dopo il disastro sono stati ricostruiti i tempi
dell'evento ma in quei momenti il tempo aveva perso ogni significato. Ricordo bene,
dunque, quel rumore terribile. Poi c'è l'immagine di una immensa colonna nera.
Salì dal basso, nel buio appena rischiarato dalle stelle, e oscurò rapidamente tutto il cielo.
Era un nero così nero... Il nulla, proprio. Come se il nulla ci stesse ingoiando tutti.
Forse gridai, o forse non ne ebbi la forza. Il gran frastuono, dunque, e quel buio terribile.
Non so proprio quanto sia durato. So soltanto che come era giunto fulmineo tutto quel nero
se ne andò e allora non ci fu più frastuono, non ci fu più alcun altro rumore per un tempo
che adesso mi pare interminabile. Il silenzio era agghiacciante, ancora più terrificante del
rumore che l'aveva preceduto. E poi c'era, nell'aria, un odore sconvolgente.
Non avevo mai sentito niente di simile. Un odore di marcio intollerabile.
Un silenzio da impazzire.
Più tardi, non so quanto tempo più tardi, prima ancora che mi rendessi conto che una
valanga d'acqua s'era sollevata dal lago ed era ripiombata dal cielo, prima che la coscienza
avvertisse lo straordinario mutamento dello scenario che avevo avuto innanzi agli occhi per
tanto tempo, fu il mio udito a ricomporsi: il silenzio si riempì di suoni. Avvertivo lo scorrere
impetuoso dell'acqua. Ricordo alcune grida che venivano dal basso, dalla parte meridionale
del paese. Fu in quel momento, forse, che mi resi conto d'essere ancora vivo e cominciai
ad intuire la vastità del disastro che era accaduto. Forse tremavo ancora.
Mi capita ancora adesso di tremare quando, qualche notte, mi tornano in mente anche nel
sonno le sensazioni di quei momenti... Quando decisi di uscire di casa.
Avevo la sensazione netta che avrei avuto molte cose da fare, come prete prima,
ma anche come uomo...".
Per don Carlo Onorin l'Apocalisse era passata in una sintesi terrificante di visioni,
di suoni, di odori. Era passata, lasciando segni crudeli nel mini-universo di Casso,
arrampicato sulle falde di una scabra montagna. Lasciando una traccia indelebile
sulla coscienza di ciascuno dei sopravvissuti.
Giampiero Rizzon
Fonti utilizzate:il sito del disastro del Vajont
Comune di Longarone
il sito di Francesco Niccolini sul Vajont
il libro di Paolini sul Vajont
la sezione del Vajont su :
“I grandi disastri italiani” di Leonardo.it
Racconti dei sopravvissuti ascoltati in
presa diretta presso l'albergo “Alla Rosa”
di Cimolais.
Wikipedia
bradipo ita