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Il mio Terremoto. L'Aquila bella mé. 6 Aprile 2009 (di Tonhause) |
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Giornata impegnativa quella del 5 aprile 2009.![]() Sebbene fosse domenica, l'intera mattinata se ne andò via sui libri. Fuori il tempo non era male, la temperatura poi, più che accettabile. Il pomeriggio quindi per scaricare la "stanchezza da studio", via, sulla sella a pedalare! Pensai che una trentina di chilometri in mtb non sarebbero stati male per digerire il buon pranzetto e quindi la direzione presa fu Monte Ocre. Un pomeriggio normale insomma! Me la passavo piuttosto bene sui pedali nonostante il tempo per allenarsi era (e lo è tutt'ora) sempre poco! Da bravo deficiente si decise di "strafare". Tornai a casa abbastanza stanco. Complice un sabato sera passato a far casino per locali e le gambe cotte di stanchezza andai a dormire come un pensionato: alle nove! Mi "sparai" pure una bella damigiana di camomilla rovente, sai com'è, "concilia il sonno" pensai . . . Per farla breve dormivo come un sasso. Le scosse che allertarono gran parte degli aquilani neanche le sentii. I miei familiari invece si allarmarono non poco, "la casa è nuova ed è in robusto cemento armato" dissero però. Decisero di andare a letto con un occhio aperto. Ore 3:29. Aprii gli occhi e guardai l'orologio. Complice la damigiana di camomilla rovente bevuta qualche ora prima restai qualche istante a pensare se la mia vescica poteva resistere sino all'indomani o scoppiare durante la notte per la troppa "pìpì" da fare. In uno stato di disorientamento causa sonno optai per la prima quando: ore 3:32 un boato, assordante, assimilabile a quello della nostra amata stelviona quando entra in coppia ruppe il silenzio tipico delle notti aquilane. Un istante dopo il boato . . la scossa Il letto sul quale ero seduto diventò un autoscontro. Gli armadi della mia camera iniziarono a aprirsi e buttar fuori tutto quello che c'era dentro fino a cappottare a terra. Neanche a dirlo, i quadri i libri e la mia collezione di modellini sulle due mensole schiantaro a terra senza emettere nessun suono tanto era assordante il "tuono" del terremoto. I quaranta secondi di scossa, non volevano mica finire! Andò giù il contatore, si accesero le luci d'emergenza. Davanti agli occhi, ora che c'era luce, vidi segnarsi il muro! "'azzo, me ne vado al padre eterno!?" Di scatto mi alzai, nel frattempo mi ero "fatto sotto" dalla paura la famosa camomilla, urlando "mamma . . ." (non sto scherzando, per l'amor di dio) esco dalla camera da letto. Termina la scossa. Mi ritrovai mio padre di fronte; le porte delle camere da letto danno tutte su un pianerottolo. Mia sorella non riusciva a venir fuori dalla stanza, la libreria venne giù bloccandole la porta. La aiutammo aprendo a forza la porta. Mia madre spaventata restò stesa sul letto. Con una paura e una fretta da far arrossire un ladro professionista mi vestii. Rapido check di tutte le stanze di casa e ad ogni porta aperta giù un'imprecazione. Ragazzi, ci credete che non restò un "coccio" dritto!? Uno di questi maledettissimi piatti cadendo dalla mensola non mi scheggio il telaio della bici!? Si lo so, voi vi chiederete "ma dove la metti 'sta bici, in cucina!?" No in taverna . . . sò fissazioni, fosse per me la moto la porterei in camera. Scesi tutti in strada vedemmo che il vicinato ci aveva preceduto. Decidemmo di tirar fuori le macchine dal garage e dal piazzale di casa. Il mio vicino di casa si ritrovò parti di balcone e comignolo nell'abitacolo. Non fù proprio piacevole per lui, credo. Tempo venti minuti, si tornò a ballare. Scosse da 4, poi da 5, e da 5.5! Passò un'ora, due. Un filo di chiarore brecciò la coltre di polvere causata dai crolli delle case, era come la più classica delle nebbie, i "primi" si misero in macchina per vedere come se la passavano i concittadini nelle altre zone della città. Nel frattempo nell'aria, elettrica, si sentivano sirene di ambulanze, boati e pianti. Arrivarono le prime notizie degli amici restati sotto le pietre. Alle otto del mattino decisi che era arrivato il mio turno. Volevo vedere qual'era la reale situazione. In pieno centro storico, era un via vai di persone seminude, in pigiama, o avvolte da una sola coperta. Chi scalzo, chi in ciabatte. Temperatura 3° centigradi. Pochissimi vestiti completamente. Facce rosse di sangue, braccia nere di lividi e piedi feriti. Visi polverosi di macerie, lavati da righe di lacrime. Non si poteva non piangere. Ogni angolo era pieno di persone che scavano a mani nude tra le macerie. Ogni tanto qualche lenzuolo bianco a coprire chi non ce l'aveva fatta. I primi soccorsi arrivarono alle nove. Protezione civile, Vigili del Fuoco, Carabinieri, Esercito, Polizia. Un disordine di quelli che solo un terremoto o una guerra crea. Gente che spaesata, con occhi bianchi senza iride e pupille, camminava senza sapere dove andare. Alle 13, i primi aeri "caccia" sorvolarono quei pochissimi tetti restati in piedi per geoscandagliare il territorio. Un sole insolito, quasi fastidioso. Strade interrotte, ponti crollati, palazzi implosi, chiese e monumenti bellissimi completamente sventrati dalla furia della natura. IL 70% DEGLI IMMOBILI DI UN CAPOLUOGO DI REGIONE DISTRUTTO Oltre dieci notti passate a dormire in macchina davanti casa, con il ferro nella fondina, per paura degli sciacalli che svaligiavano le case. Tutto il mio quartiere dopo neanche sei giorni si svuotò. Vivere a L'Aquila era proibitivo. La gente venne ospitata negli alberghi sulla costa. Io e la mia famiglia invece, come altre nella città, ci organizzammo in una tenda in giardino per cinque mesi. Oltre 250 scosse al giorno per sette mesi. Una guerra contro un qualcosa di invisibile. Uno stato di tensione da far paura. Un' esperienza che non si può capire se non si vive. Questa è stata la "mia" da vent'enne. Il mio terremoto. Spero che l'opinione pubblica sappia quanto ancora è tutto come la notte del 6 aprile 2009: DISTRUTTO Tonhause. |
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