Posto anche qui per voi, questo racconto scritto di getto ieri sera. Spero vi faccia divertire....

Ho davanti a me gli stivali ancora impolverati che pulirò, forse, domani e non posso esimermi dal raccontare questa pazzesca giornata sulla Via del Sale.
Antefatto: il sogno.Non credo nel paranormale e nel metafisico, benché appassionato di Horror; la mia religiosità, al limite dell’ateismo, si limita ad un vago deismo, ma questa, lo giuro, è la verità.
Nella poltrona letto della casa al mare, non dormo molto bene. Faccio sogni strani; ma proprio quello della scorsa notte è stato molto particolare, e qui lo vado a raccontare.
Siamo in automobile, io e Cristina, su una strada normale e procediamo adagio dietro ad un camioncino che assomiglia a quello dei cantonieri. Questo veicolo traina un piccolo rimorchio su due ruote, come fosse un tino, pieno di chiodi. Il camion oltrepassa adagio un avvallamento della strada, una sorta di buco o fossato sull’asfalto; si ferma poco oltre e rapidamente scarica con un automatismo il contenuto di chiodi del suo rimorchio, a riempimento del buco, quindi riparte. Io, che guido l’auto dietro, procedo tranquillo sopra i chiodi, stupidamente. Ma perché dovrei anche essere furbo, essendo un sogno? Ovviamente buco e mi fermo; scendo a vedere e mi riempio le scarpe di chiodi, tanto che sembrano due porcospini. Le scarpe sono da ginnastica, con una soletta, so io nel sogno, pneumatica, per motivi di comfort. Provo a sfilare un chiodo dalla scarpa e la soletta speciale si sgonfia, come una camera d’aria bucata. La scarpa diventa subito sgradevole, come poggiare il piede nudo sui sassi. Fine del sogno.
Ritorno a casa dalla Via del Sale.Sono obbligato a tornare a casa prima della mia famiglia, che resta al mare, ed in modo più o meno programmato lo voglio fare dalla via del Sale, o perlomeno dal suo tratto più elevato in quota, la Monesi-Limone, dalla quale manco dal 2008.
La mia giornata inizia comunque lenta, con una passeggiata mattutina con il cane, la cana anzi. Dopo colazione e le funzioni varie, sono pronto a partire che sono almeno le 10.30. I miei figli ancora dormono! Ma io sono in vacanza, non ho alcuna fretta; voglio solo essere a casa ad Alessandria, entro sera. So che la strada è stata migliorata molto, rispetto ai miei ricordi da neofita del fuori asfalto risalenti al 2007 e 2008 e la mia capacità di portare la moto sugli sterrati è anche migliorata rispetto ad allora, pertanto non ho grossi patemi, tranne quello del panne meccanico, essendo solo. Non proprio solo; questo uno degli itinerari fuori strada più noti del nord Italia, essere lì, soli, in una splendida giornata di fine agosto, non è possibile! La mia idea è di arrivare al colle di Tenda con calma e le dovute pause fotografiche, e da lì magari fare un pezzetto in Francia, al forte e poi qualche km verso Casterino- Tende, per poi ritornare dalla stessa strada verso Limone ad un’ora giusta.
Da Pieve di Teco che raggiungo velocemente, punto verso Armo, per fare un piccolo preludio alla VdS; la sterrata Armo- Colle di Nava, che conosco già e corre facilmente per qualche km nel bosco. Qui si che non c’è nessuno, ma la strada sterrata è poca e facile; sicuramente è più pericoloso l’ultimo pezzo già asfaltato, dove ci sono diversi profondi canaloni di scolo in cemento, che tagliano la strada quasi sempre in curva e nell’ombra degli alberi.

Poco dopo il colle, verso Ormea, inizia subito la deviazione per Monesi. Risalendo poi verso gli impianti sciistici di Monesi, credo ormai dismessi, si trova l’imbocco non ben indicato, per chi non c’è mai stato, della strada per Limone. La prima parte è brutta, di asfalto rotto e cemento, in mezzo ai pascoli. Non trovo il posto di pedaggio, 10 euro per le moto, e mi viene il dubbio di averlo saltato. In realtà questo è ben all’interno del Bosco delle Navette, dopo un primo tratto molto sassoso, ma di sassi piantati a terra, che mi fanno saltare un po’ il transalp, con il suo ammortizzatore posteriore nuovo e la pressione tenuta non troppo bassa, per non forare……..
Alla fine al posto di pedaggio si arriva , e non si può saltare perché tirano una catena, e da qui in poi la strada diventa davvero bella, aprendosi a spettacolari paesaggi alpini in quota, appena finita la zona boschiva. Arrivo abbastanza velocemente al rifugio Don Barbera, più o meno a metà percorso.
Vedo poche moto scendere; qualche muccone, due Africa nuovi, un tenéré 660 e, nel mio senso di marcia, supero addirittura una fiat 500 nuova; non esattamente l’auto giusta, anche se la strada è bonificata.
Non mi fermo al rifugio, ma posteggio sulla strada proprio lì sopra. Ho alcune razioni k nello zaino, e non voglio fare una pausa tanto lunga, per godermi la giornata. Sono circa le due del pomeriggio.
Minimamente rifocillato mi rivesto ed attacco il Colle dei Signori, che nel 2007, alla prima esperienza da inesperto, stessa moto, mi aveva fatto vedere i sorci verdi.

Procedo tranquillo, la moto va bene ed io pure, su un tratto quasi pianeggiante e liscio, vedo un piccolo dosso naturale, che affronto con un leggero brio, diciamo come un colpetto di timpani in una sonorità monotona tipica del mio stile bradipesco. Non so dire se ho effettivamente staccato di qualche millimetro le ruote dal suolo ma, per bontà narrativa, dico che pochi metri dopo l’atterraggio, sento subito qualcosa che non va; la moto sbanda. Mi fermo e guardo. Posteriore forato.
Intorno non c’è nessuno; più o meno è anche ora di pranzo. La prima idea, con poche speranze, è quella della bomboletta. La cavo via da sotto la sella, che rimonto subito nel caso di una fortuita ripartenza rapida. Ma purtroppo non succede nulla di rapido. Subito sembra che la schiuma entri e non la vedo uscire da nessuna parte, ma la ruota resta a terra, alla fine si strappa il tubetto dal lato bombola, ma quando è ormai praticamente finita
Raccolgo alla meglio i rifiuti a terra, e provo a ripartire, per “vedere come va”. Va da schifo, sbando da tutte le parti, la gomma tende ad uscire dal cerchio. Non so se faccio 100 o 200 metri al massimo e mi arrendo.
Passa qualche suv, e provo a chiedere se qualcuno è pratico nel cambio di camera, ma le risposte non sono di conforto. Sono in un punto panoramico, una signora, a piedi, mi dice a circa 10 km dal colle di Tenda. Verso il colle ho vista aperta per qualche km. Moto non ne arrivano.

Bene; ho un problema che non so risolvere, poiché tentare in autonomia il primo cambio di camera lì, non mi sembra la soluzione; uso quindi il metodo preferito da mia figlia: se hai un problema, fai in modo che il TUO problema, diventi ANCHE il problema di qualcun altro!
Fortunosamente il posto, oltre che panoramico, ha anche campo telefonico. Ed altrettanto fortunosamente ho in memoria il numero del posto di pedaggio lato Tenda, che risponde subito.
Espongo il problema, specificando che ho l’occorrente per una riparazione, ma da solo non ne sono in grado, e chiedo se ci fosse un meccanico o un motociclista esperto, che può raggiungermi lì.
Il mio problema è diventato così anche il suo e, miracolosamente, dopo pochi minuti di attesa il motociclista c’è! E sarà di partenza a breve per raggiungermi.
Nel frattempo qualcuno in moto arriva; una coppia tedesca su due ktm e due amici italiani. Tutti si fermano per condividere con me il guasto, ma purtroppo non sono l’unico incapace al capezzale del mio transalp. Ma, come promesso, arriva lui, Giovanni, sul suo mono yamaha che sta facendo da guida, mi pare, a qualcuno poco esperto. Motociclista oltre i cinquanta, si vede subito che ci sa fare; inizia lo smontaggio ed il capannello di volenterosi in torno alla moto è fitto, anche troppo.
Via la ruota, esce una boccola distanziale che Giovanni rimette subito a posto e “qualcuno” prende in mano il dado e la rondella speciale di fissaggio del perno.
Tiro fuori le mie leve, tre, comprate apposta e mai usate, che da 8 – 9 anni stazionano sotto la sella della moto, ma a Giovanni non piacciono; dice che con quelle pizzico. Usa le sue. Va bè, peccato per le leve, ma a me interessa il gol! Intanto che io mi preoccupo dello stato della camera di scorta, risalente al 2000, poiché era quella originale tolta per mettere le rinforzate nel 2006 o 2007, e da allora riposta sotto la sella della moto, Giovanni, sapendo che avevo fatto un centinaio di metri con ruota a terra inizia gufare sullo stato delle tele; mi dice che manca uno strato di copertura interno al cerchio dell’attacco raggi, che mi ricostruisce con il mio nastro americano. Il motivo della foratura non è visibile, ma alla fine un occhio di lince tra i presenti vede la piccola testa di un chiodo in un tassello, che viene rimosso con le pinze. L’ipotesi è che il chiodo, ritorto, fosse già nella ruota da tempo, ed il saltino che ho fatto lo abbia spinto definitivamente a lacerare la camera. Alla fine la ruota è riassemblata. Attacco con la mia pompetta Decathlon e con i muscoli spinti dalla tensione nervosa la ruota prende forma abbastanza rapidamente, Ho anche il manometro, e qui Giovanni si stupisce per me: incapace si, ma proprio sprovveduto no! 1.2 bar alla prima misura, la camera sembra tenere; pompo ancora. 1.5 alla seconda misura; alla terza, 1,8 bar, mi fermo.
La ruota va su e faccio un po’ di pratica aiutando a posizionare la pinza freno e tenendo allargate le pastiglie con un cacciavite per far entrare il disco. Con un righello Giovanni aveva già misurato le lunghezze dei riferimenti, per non fare casini. La gomma è sempre gonfia ed il perno è entrato al suo posto; basta mettere il dado ed il gioco è fatto. Già; ma dov’è il dado del perno, con la sua rondella?
Tra i presenti, nessuno l’ha tolto, nessuno lo sa. Qualcuno se n’è già andato per la sua strada. Che fosse quel tedesco che aveva raccolto la boccola? Che fosse quello con il transalp nero, lì vicino durante lo smontaggio? Ispezioniamo tutti palmo a palmo, sasso a sasso, per almeno due metri intorno alla mia moto. Niente. Il dado del perno ruota è grosso; guardiamo dentro le buste attrezzi, dentro il vano sottosella, spostiamo tutto, niente. L’ipotesi è che qualcuno, distratto, il tedesco ad esempio ha lasciato lì la sua pinza ktm, abbia senza pensarci messo in tasca i due pezzi ed alla fine se ne sia ripartito per la sua strada.
Bene, ho un problema, che torna rapidamente ad essere anche il problema del povero ragazzo del posto pedaggio del colle di Tenda. Gli intimo con una serie di telefonate a raffica di fermare tutti i tedeschi su ktm nero e poi anche tutti gli italiani su transalp nero, fargli vuotare le tasche e trovare il mio dado perno!
L’attesa è vana; i tedeschi arrivano al posto di blocco, ma non hanno niente. Il transalp nero non arriva; forse nella confusione ci siamo sbagliati, ed andava verso Monesi. Ma intanto il cellulare del posto pedaggio di là, non prende.
Alla fine si ferma un pick.up, con gente in simil divisa, non so se sono guardiaparco o cosa.
Le ipotesi sono due: o provare a fermare il perno con una fascetta o fil di ferro e procedere pianissimo scortati dal pick-up oppure caricare il transalp con i suoi duecento e passa e kg sul pick.up; cosa mica semplice senza una rampa e già mi vedo le carene, su quei sassi, ben bene triturate nel cassone del pick.
Ma, dopo Giovanni, la Dea dei motociclisti, fa il suo ingresso in scena “ex machina” per un secondo colpo di scena; nel senso che uno di questi “forestali” scendendo appunto dalla sua macchina, ad almeno 3 o 4 metri dalla mia moto, cosa vede a terra? Dado e rondella! Cosa può essere ragionevolmente capitato? Qualcuno, volenteroso ma distratto, ha raccolto i pezzi appena estratta la ruota e li ha poggiati su una moto lì vicino. Questa moto poi, ripartendo senza avvedersene, li ha lanciati a qualche metro di troppo per le nostre vane ricerche.

Il Fato, come nelle migliori commedie, risolve in fretta la faccenda; la ruota è serrata, saluti e ringraziamenti, tutti saltano in sella e si dileguano velocemente, un po’ perché è tardi, un po’ perché hanno timore che me ne capiti un’altra. Io, ormai solo con la compagnia di due ciclisti in pausa foto e fiato, raccolto i miei pezzi ed i rottami che butto nella sacca, giro con calma la moto, che per agevolare le operazioni era tornata in direzione Monesi, e riprendo quindi sperando che tutto vada, per gli ultimi dieci chilometri verso il colle di Tenda. La moto va, la ruota tiene.

Al posto pedaggio in uscita mi qualifico per ringraziare, ma non sono accolto con astio; persona davvero gentile.
Sono quasi le sei. Dove si incrociano le strade, verso Limone asfaltata e l’altro pezzo di VdS verso Tende e Casterino, c’è un bel bar con terrazza soleggiata, mia salvezza alla prima VdS del 2007, dove ero arrivato stremato e mi ero fermato per una coca (cola) corretta extra zucchero per riprendere energie, non prima di aver avvisato della sosta la scopa Marco “Lupo”, che pazientemente mi aveva scortato sino lì e quindi lasciato con i ragguagli per raggiungere la comitiva al forte.
Si vede che è mio destino arrivare lì un po’ provato, questa volta però non dalla fatica, che la strada mi è piaciuta assai. E mentre mi godo una fetta di torta al cioccolato, ho un po’ di rammarico per la sterrata verso Casterino, che non è più ora di affrontare, neanche in parte, soprattutto dopo essermi già giocato in giornata un paio di Deus ex machina.

Torno a casa seguendo la via più breve: Cuneo, Fossano, Bra e poi Alba, comunque bello gasato per la giornata. Forse lo sarei stato meno se avessi dovuto dormire in pensione a Limone, con un costume da bagno in pura plastica, come unico ricambio ai pantaloni da cross! Già da Alba e fino ad Alessandria non penso più alla strada che conosco più che bene e nella mia mente inizio già a scrivere questo racconto.
Per fortuna la solidarietà tra i motociclisti non è un luogo comune, ma una realtà consolidata e quando c’è un po’ di sfiga, arriva poi anche un po’ di culo. Si può dire “culo”? Dovrei chiederlo a quel gentile motociclista, del capannello degli inutili volenterosi, massimo quarantenne, che continuava a chiamarmi “signore” ed a darmi del Lei, nonostante le mie ed altrui rimostranze per adottare il “tu”, che siamo tutti motociclisti. Colpa della rigida educazione materna, si scusava lui, incapace di abbandonare le buone maniere, anche in mezzo alla polvere ed ai sassi della VdS.
PS: senza scomodare Sigmund Freud o Roberto Giacobbo di Kazzenger, la spiegazione del mio sogno “premonitore” è banale. Non ero preoccupato della strada, che sapevo risistemata a dovere ed alla mia portata, avendola già fatta quando era più brutta lei e meno esperto io, né della tenuta meccanica del transalp, rimesso a posto da poco da un bravo meccanico (Massimoto, di Alessandria). Piuttosto sapevo di non saper affrontare da solo una sempre possibile foratura. Questa mia “angoscia” ha evidentemente generato il sogno giusto al momento giusto.