Non ne potevo piu'. Non ne posso piu'. Da ottobre mi porto avanti un'infezione e praticamente
la moto e' ferma nel box da ottobre 2012. Anche se in realta' ad oggi ho percorso circa 1000 Km
negli ultimi 5 mesi, la moto e' praticamnete ferma.
Ho dovuto curarmi tra ottobre e dicembre poi una ricaduta a gennaio. Al 28 febbraio mi hanno operato
e da quel giorno la moto e' rimasta ferma. Oggi ero giu' di corda. Sono andato a togliermi i punti
e pur avendo tutte le cure e precauzioni si sono infettati. Cosi' ora devo proseguire con passaggi
ospedalieri ambulatoriali ogni due giorni fino a guarigione. Pensavo di metter una parola fine a questo
incubo che mi perseguita da 5 mesi dal nome di pilus pilonidalis, un male che non lo auguro a nessuno.
Comunque, oggi preso dallo sconforto piu' estremo ho aperto il box e ho preso la moto per un giro.
Avevo voglia di sentire l'aria sulla faccia, avevo voglia di sentirmi vivo.
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Cosi' ho gironzolato lungo le pittoresche strade del carso triestino e piu' precisamente tra Duino e Gorizia.
La prima tappa e' stata il borgo chiamato "villaggio del pescatore" presso Duino. Avevo voglia di vedere il
mare, sentirne l'odore, guardare la laguna con le sue sponde sabbiose, le barche da pesca ormeggiate,
il sole che si specchia nelle placide acque del golfo disturbate solo da qualche pescatore che tira su i mitili
dall'allevamento o da qualche canoista.
Proseguo senza una meta precisa e mi sposto verso Doberdo' del Lago. Mi fermo sul ciglio della strada
ad osservare il laghetto d'acqua dolce che sembra uno specchio con una cornice verde fatta di foresta.
L'acqua baciata dal sole ha il color dell'oro. Che spettacolo che offre madre natura a chi sa apprezzare
queste cose. Riaccendo il mio cavallo di ferro e proseguo lungo una via tortuosa che sale e scende
seguendo le altimetrie delle colline fino a raggiundere la zona del monte San Michele.
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Qua, se a qualcuno il nome del monte dice nulla, va ricordato che questa zona tra il 1915 e il 1917 e'
stata teatro di una serie di battaglie della Grande Guerra tra le piu' sanguinarie che la storia ricordi.
Dal basso di Sagrado attraversando il fiume Isonzo le truppe italiane hanno conquistato il San Michele
dopo otto terrificanti battaglie. Il San Michele era una fortezza strategica dell'impero Austro-Ungarico
qui presidiato dalle truppe ungheresi della IV divisone Honveed.
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Non c'era centimetro del Carso che non fosse bagnato di sangue, non c'era pietra che non fosse stata smossa da un colpo di cannone.
Quando gli italiani raggiunsero e conquistarono il San Michele vi realizzarono una serie di gallerie
sotteranee per proteggere i loro cannoni 149/35 A di lunga gittata. Da qui potevano bombardare sia
Gorizia, protetta dalla fortezza del monte Sabotino, che la fortezza del monte Hermada, roccaforte
austriaca a difesa di Trieste. Le batterie mobili avevano un angolo di tiro di 180° e servivano sia da
cannoneggiamento diurno preparatorio alle incursioni sia ad azioni di disturbo notturno per rendere
difficoltose le operazioni di ripristino delle fortificazioni del nemico. La chiamano la Grande Guerra non
a caso. Terrificante, dove il soldato era carne da cannone e i civili pativano la fame, il terrore e la miseria.
Purtroppo la storia insegna che l'uomo e' incapace di imparere dai propri errori e quindi pochi anni piu'
tardi ci fu la Seconda Guerra Mondiale.
Anche se la natura lentamente ha ripreso forma e ha coperto le ferite prodotte dagli oltre 3000 cannoni
che incessantemente sparavano, ancora oggi a distanza di 100 anni si puo' percepire la condizione
disumana cui erano sottoposti i soldati, la mancanza totale di umanita' in quel che facevano, la brutalita'
per come si susseguirono le battaglie e gli eventi. Ogni colpo di cannone che toccava la pietra carsica
composta di calcare, la frantumava in migliaia di schegge che si alzavano in aria amplificando di 10 volte
il potenziale di morte e mutilazione sul campo di battaglia. Spesso era impossibile andare in coccorso
dei feriti che rimanevano li a terra fino alla morte. E con i morti si alzavano le trincee. Poi va ricordato che
il Carso e' per natura privo di acqua, e l'acqua potabile doveva esser trasportata dalle retrovie con fatica.
Spesso i soldati non bevevano per giorni e la gola carica della polvere da sparo bruciava fino a
farli impazzire.
D'estate poi la pietra carsica, questo arrido deserto carsico, poteva raggiungere temperature vicino ai
50° C e i soldati erano vestiti con pesanti divise di panno per resistere ai colpi di baionetta.
E qui, in questa zona, che per la prima volta nella storia della guerra si sono usati i primi gas al cloro
e fosgene.
Qui c'e' la nostra storia e visitare questi posti ci aiuta a non dimenticare chi siamo.
Dal San Michele poi ho seguito la strada che mi riporta verso Lisert.
Un'ultima sosta davanti ad una casa di campagna, una foto ricordo alla mia moto prima di ritornare
a casa. Dopo due settimane di convalescenza, questo giro ci voleva. Il culo piange ma ne valeva la pena.
Sono partito dopo mezzogiorno con il sole e sono tornato a casa con la pioggia, anche questa e' vita.
E' proprio vero che un giro in moto vale piu' di mille medicine. Quando guido la mia moto,
sento il calore del sole, i profumi della campagna, sento l'aria sulla faccia, sento la pioggia sulla mia pelle.
Quando guido la mia moto non sento dolore, ne male, solo gioia di vivere e sentirmi parte della natura.
Ed e' come se uno stato di beatitudine mi avvolgesse e mi coccolasse.
Ecco, chi sono: un cacciatore di emozioni.
seguono altre foto, grazie.
bradipo
